Non c’è forse gruppo WhatsApp che sia stato immune, in questi anni, da un simpatico meme (così si chiamano quelle che una volta chiamavamo catene di Sant’Antonio) che si propagava nelle nostre conversazioni personali o di gruppo attraverso formule del tipo «Sabato mattina whatsapp diventerà a pagamento se hai almeno venti contatti manda questo messaggio a loro. Così risulterà che sei un utilizzatore assiduo il tuo logo diventerà blu e resterà gratuito. (ne hanno parlato al tg)».
Ebbene, da oggi potrete rispondere a chi ancora dovesse mandare messaggi come questo che WhatsApp, l’app di messaggistica per smartphone che non ha certo bisogno di presentazioni, non è più a pagamento.
Se da qualche tempo a questa parte l’ app aveva un costo (anche se irrisorio), all’ingresso per chi utilizzava WhatsApp sul proprio iPhone o con anno di “prova gratuita” e successivo piccolo abbonamento annuale a 0,89 per tutti gli altri, da oggi il piccolo balzello non è più da pagare.
C’è una domanda che sorge spontanea: perché da oggi WhatsApp è gratis? Leggendo molti commenti la convinzione più forte che emerge è che si tratti di una mossa per provare a contrastare l’ascesa nel mercato della messaggistica instantanea di altre app, Telegram su tutte. E perché Telegram sta rosicchiando quote di mercato a WhatsApp? Soprattutto perché offre la possibilità di chattare in modalità “secret”, modalità in cui i messaggi vengono scambiati sotto un codice cifrato e senza rimanere nei server di Telegram, come invece succede per WhatsApp. In più Telegram era completamente gratuito.
Ehi, ma ora lo è anche WhatsApp! E quindi tutti felici e contenti? Forse sì, forse no.
Non tutti forse sanno che WhatsApp è stato acquistato nel febbraio 2014 da Facebook, per una cifra record di 19 miliardi di dollari. Ciò significa che, utilizzando l’applicazione e avendo con questo perciò accettato implicitamente la policy d’uso della app, tutto ciò che noi scriviamo in chat (tutto ciò che riguarda i messaggi vocali è da verificare ma non sorprenderebbe scoprire che valga anche per questo tipo di messaggi) entra nelle mani di Facebook, che usa questi dati per profilarci. E non lo fa soltanto se siamo iscritti al Social Network Site. Anche, se così possiamo chiamarla, l’aggravante nel primo caso è che la nostra esperienza su Facebook e quindi ciò che ci viene mostrato in timeline – pubblicità e suggerimenti di amicizia compresi – è influenzata da tutto ciò che digitiamo e con chi intratteniamo le nostre chat su WhatsApp. Non è chiaro se Facebook venda poi anche i nostri dati a terzi, ma se vi sentite un po’ dentro al Grande Fratello non avete tutti i torti. Tutto questo rientra in un concetto che è sempre bene tenere a mente quando ci approcciamo ad un prodotto digitale “gratuito” e che è esprimibile con un’espressione quanto mai azzeccata: “se non paghi il prodotto sei tu”.
Capiamoci bene: non è che prima questo fosse diverso, ma la patina del balzello dei 0,89 cent da pagare poteva ancora farci credere che i soldi per sostenere il business di WhatsApp derivasse da quella quota, e che comprare un prodotto riparasse dall’acquisizione e dalla vendita dei nostri dati. Era un modo per mettere la testa sotto la sabbia, lo so. Ma funzionava.
Invece ora è più che mai necessario mettere in rilievo che in applicazioni come Facebook, WhatsApp, ma anche lo stesso motore di ricerca di Google o GMail, che non dimentichiamolo, sono strumenti proprietari con dei costi che in qualche modo vanno coperti – siamo ospiti e ripaghiamo l’ospitalità con una moneta molto particolare: i nostri dati. E’ un baratto: noi possiamo utilizzare gratuitamente un servizio online, loro si prendono un pezzo della nostra privacy che serve per indirizzare sempre meglio ed in modo mirato le pubblicità vendute su queste piattaforme.
No, non esistono servizi online gratuiti, ma tutto è un dare e un avere. Questo non vuol dire abbandonare in massa questi strumenti, che sono diventati così tanto prolungamento delle nostre mani probabilmente da non poterne più fare a meno – perché diciamolo, essere fuori da WhatsApp oggi corrisponde certo a ritirarsi in una caverna disabitata.
Parlare e prendere coscienza di queste cose serve per prendere consapevolezza delle nostre scelte.
Trackbacks for this post